C'è
questo tizio al bancone del bar che mi sta facendo due palle così.
Intendiamoci, sono io che sbaglio atteggiamento, e lo so
perfettamente. Se mi siedo al bancone del bar per bere un bicchiere
di vino, mi metto in una situazione simile a quella di uno che va a
lavorare al telefono azzurro, o rosa, o di qualche altro colore usato
per i maschi adulti problematici che hanno appena scoperto che la
moglie li tradisce o che a cinquant'anni gli è venuto il dubbio di
essere diventati finocchi e non sanno come dirlo al figlio, o che
sono senza lavoro. No, forse quelli che non hanno lavoro sono lo
standard, oggi. In effetti la maggior parte delle persone che conosco
non fanno un cazzo. Comunque questo individuo l'avevo già visto
qualche volta, forse ci avevano pure presentati, sta di fatto che mi
sta parlando come se fosse un mio vecchio amico. Avrà trent'anni o
giù di lì, capelli corti, vestito in modo impeccabile, una camicia
di marca scarpe e pantaloni alla moda. Forse è un po' troppo
elegante per questo posto. Dice «Il mondo è una merda. Il mio mondo
è una merda, credo. Non tutti i mondi sono una merda. Tu vivi nel
tuo mondo, dove stai bene. Non sai neanche cosa vuol dire vivere nel
mio, di mondo. Io me lo dico tutte le mattine allo specchio, quando
mi alzo. Dico: Giorgio, il tuo mondo è una merda». Ora, a parte il
fatto che è ubriaco come una spugna non strizzata, e come una spugna
odora di lezzo, e che a me del suo mondo non me ne frega
assolutamente nulla, ma lui del mio mondo che cazzo ne sa? Valuto
l'ipotesi di tirargli un pugno nello stomaco. E l'oste a quel punto
ha la pessima idea di dare un tocco di americanità al suo locale
cambiando musica. Armeggia con l'impianto stereo, cambia qualche
impostazione, fa partire un paio di larsen prendendosi insulti da
mezzo locale. Poi attaccano le note di una famosa canzone blues, e
l'atmosfera si rilassa. «Ah, il blues!» esclama il mio
interlocutore con l'aria di chi soffre felice. L'aria blues, che
coinvolge chi sta male, ti prende il cuore e lo porta con sé in
cerca di un luogo paradisiaco in cui la sofferenza nobilita e diventa
valore, diventa un percorso ascetico, eleva alla massima potenza il
tuo dolore che diventa creatività, pathos. Un ragazzo con la barba
si avvicina a Giorgio, gli mette una mano sulla spalla, lo fissa con
solennità e annuisce, stringendo la spalla in una morsa. Giorgio si
lamenta «Ahi, fai male». L'altro continua ad annuire. Dice «È il
blues».
«Ah,
sì. Il blues», risponde Giorgio, e annuisce anche lui. «Senti, la
sofferenza. Geniale», continua.
Tutto
il locale è, come un coro, sospeso in una trance uditiva, le note
dolci e strazianti entrano nei corpi delle persone e li permeano, non
escono più. Se ci fosse abbastanza gente ad assorbire ogni nota
probabilmente ci sarebbe un silenzio perfetto, in cui la musica
entrerebbe direttamente in ognuno dei presenti non restando più
nell'aria. Una sincronia di anime rapite dalla magia del blues. È il
momento perfetto per svicolare dallo scocciatore. Però voglio
lasciare un'impronta personale, prima. Voglio essere antipatico.
«Il
blues è una merda»
Silenzio.
Si ferma tutto, anche il tempo. Tutti si voltano verso di me, la
musica si blocca, qualcuno si strozza con una polpetta vegetariana.
L'amico
barbuto di Giorgio mi fissa terrorizzato. Non riesce a elaborare il
concetto, la mia frase lo ha completamente destabilizzato, si gira
verso di me mentre il suo io, sgomento, balla un fandango su un filo
sospeso tra l'odio e la follia. «Non ho capito, scusa»
«Ho
detto che il blues è una merda. Fa cagare. È una musica pacco. Fa
schifo. È morto, sono cinquant'anni che non dice più niente -e per
fortuna- solo che non ve ne siete accorti. Le sue dodici misure hanno
rotto i coglioni e i suoi assoli di sta minchia ancora di più. Sono
stato più chiaro adesso?»
È
cianotico, poi si riprende, respira, si prepara al contrattacco. «Lo
sai che dal blues deriva tutta la musica moderna?», chiede, con un
tono fin troppo pacato ed educato. Io voglio lo scontro, decido di
chiudere il match subito, alla Mike Tyson. Dico «Sì? Può darsi.
Anche noi umani discendiamo dalle scimmie, dicono. Tu scopi con le
scimmie? Ti piacciono? A me le scimmie non piacciono. Se tu lo metti
in figa a una bertuccia e ascolti il blues sei libero di farlo. Io
non lo faccio».
A
questo punto siamo la principale attrazione del locale. Io sono il
cattivo, volano pezzi di piadina e di hamburger e fischi indirizzati
a me, il brusio, le facce stupite, qualcuno dice «È pazzo».
Ci
sono cose che non puoi discutere, perché sono universalmente
accettate e nessuno si pone più domande a riguardo. Sono
I
mostri sacri.
Vado
a fare pipì, giocando di anticipo, perché rassicuro i presenti che
«Torno subito». Ovviamente in bagno, seduto con le gambe a
penzoloni sulla cassetta dell'acqua di scarico, c'è quel rompipalle
di Mister Flinn.
«Questa
volta l'hai fatta grossa, questa volta sei fottuto. Ora, io non so se
li hai guardati, sono tanti. E vogliono il tuo sangue. Credo che ti
uccideranno»
«Allora
faccio anche la cacca, già che ci sono», rispondo. «Sai che quando
muori ti si rilascia lo sfintere, no? Quindi va bene morire ammazzato
da un'orda di bluesofili ubriachi, ma almeno vorrei evitare di
cagarmi addosso, da morto»
Mister
Flinn si lancia verso la finestra, appendendosi a testa in giù alla
maniglia «Non scherzare, sono serio. Ti ricordi quella volta che hai
detto a quel tizio di Ciampino che la sua ragazza era migliorata
molto, a letto, da quando stavano insieme?»
«Uhm,
sì, ero ubriaco, io la sua ragazza manco la conoscevo»
«Bravo»,
risponde Mister Flinn, «e quello se non avesse avuto la gamba
ingessata ti avrebbe spaccato la faccia»
«Ma
che ci posso fare io se le persone non hanno il senso dell'umorismo?
Comunque questi sono un branco di imbecilli, ora devo trovare una
soluzione. Dai Mister Flinn, sparisci, che devo cagare e ragionare»
Quando
torno nel salone, una piccola folla si è radunata attorno a un
ragazzo entrato da poco, è molto triste e beve grappe come se non ci
fosse un domani. C'è chi gli dà pacche sulle spalle, chi lo
abbraccia, uno gli consiglia di non abbattersi troppo. Lui tra una
grappa e l'altra bofonchia frasi come «Simona mi ucciderà, lo so»
Il
barbuto mi si avvicina. «Che tristezza», esclama solennemente.
«Che
gli è successo?»
«Ha
messo incinta una ragazza, una relazione clandestina, sai. Ora deve
dirlo a sua moglie, perché quella il bambino se lo vuole tenere»
«Mortacci!»,
commento.
Il
barbuto mi spiega che certo lui disapprova, certi comportamenti non
hanno giustificazione, poi la moglie, Simona, dovrei vederla mi dice
è così una brava ragazza, pure uno schianto, e guarda lui cosa va a
combinare. Che schifo. Però poveraccio, si sono sposati giovani, un
momento di debolezza.
«E
poi», continua «io glielo dicevo. Guarda che quella è vegana, non
ti devi fidare. Prende la pillola, ma chissà cosa c'è dentro, alla
pillola vegana. Lui mi diceva che le altre si disperdono nei fiumi e
che poi i pesci diventano ermafroditi, e che questa funziona
benissimo arriva dall'Australia è a base di olio di sesamo scuro e
tofu e via dicendo. A me non ha mai convinto, e infatti trac! L'ha
ingallata».
Annuisco
mostrando empatia nel miglior modo possibile, anche se non me ne
frega niente. «Vatti a fidare del tofu», commento. Riesco anche ad
abbozzare un'aria riflessiva per un paio di secondi: il barbuto
sembra essersi dimenticato della discussione precedente, infatti mi
si sta rivolgendo in maniera amichevole. Che fortuna, quel coglione
ha messo incinta l'amante nel momento giusto. «Bene», concludo. «Si
è fatta una certa, e io a questo punto...»
No.
Si
avvicina Giorgio, insieme a uno strano individuo. È nero, indossa
una giacca viola sopra un maglione blu scuro e in testa porta una
coppola. Ha i baffi imbiancati dall'età. La cosa particolare è che
osservandolo molto bene si riesce a vedergli attraverso. E questo chi
cazzo è?
Il
barbuto mi spiega che le mie affermazioni non potevano essere
ignorate, quindi devo prendermi le mie responsabilità. «Come il
ragazzo al bancone ha infornato la pagnotta nel posto sbagliato, tu
hai infangato il nome del blues, e ora te la vedrai con lui»
Il
nero si rivela essere il fantasma di Muddy Waters, e mi spiega che
nell'aldilà ha seguito un corso di italiano e che ora mi sfiderà in
un duello con in palio la vita.
«A
scacchi?», chiedo.
Fa
cenno di no con la testa. «A “Indovina chi?”», sentenzia.
In
pochi istanti siamo al tavolo, dove sono già disposte le due
tavolette con le figurine. Pesco il mio personaggio, quello che Muddy
dovrà indovinare. Che sfiga, ho preso Sam! Proprio uno pelato con
gli occhiali mi doveva capitare! Muddy pesca a sua volta e mi guarda
negli occhi con l'aria di chi ha già vinto. Tocca a me iniziare.
«Senti
Muddy spiegami bene come sono le regole, cosa succede a chi vince e a
chi perde. Ha i capelli bianchi?»
Muddy
si gratta un baffo. «Allora, se vinco io tu muori e io ritorno in
vita al tuo posto. No, non ha i capelli bianchi. Il tuo ha la bocca
larga?»
Minchia,
meno male che non mi ha chiesto se ha gli occhiali o se è pelato.
Elimino dalla mia tavoletta le figurine con i capelli bianchi. Clak
clak clak.
«No,
non ha la bocca larga. Il tuo ha la barba? E se invece vinco io che
succede?»
Muddy
tira un pugno che fa tremare il tavolo «You shook me, boy!»
esclama. «Sì, ha la barba, maledizione. Beh, se vinci tu allora
resti in vita, io resto un fantasma, e potrai cancellare dalla
memoria dell'umanità tutto il blues, come se non fosse mai esistito.
È pelato il tuo?»
Cazzo
ha beccato la pelata! «Sì, è pelato. Adesso aspetta che mi devo
concentrare. Comunque, Muddy, mi sembra che con queste regole tu stia
cercando di incularmi, in qualche modo. C'è qualcosa che non mi
torna».
Muddy
emette una grassa risata, soddisfatto, e abbassa un sacco di
figurine, troppe. La posta in palio è enorme, in pratica sto
rischiando di sacrificare la mia vita per liberare il mondo dal blues
per sempre. Comunque, che mi piaccia o no, non credo di avere molta
scelta. Improvvisamente l'impianto stereo del locale inizia a sparare
a un volume allucinante un pezzo di Gigi D'Agostino, creando non poco
scompiglio. Un ragazzo con i capelli lunghi scoppia in lacrime,
qualcuno dice «No, la dance anni novanta no, vi prego!» Il fantasma
di Muddy perde consistenza e diventa quasi del tutto trasparente,
incapace di muoversi. Giorgio grida «Fermate questo scempio!», il
ragazzo al bancone beve un triplo gin in un sorso e lo vomita in
faccia al barista con un getto che ricorda il film “L'esorcista”.
Seduto
sul tavolino, di fronte a me, compare Mister Flinn che approfitta
della confusione per mettermi all'erta del pericolo incombente.
«Ti
stanno fregando», mi dice. «È una trappola, come il referendum per
abolire il finanziamento pubblico ai partiti. Se vinci cancellerai il
blues, ma nel giro di pochi mesi qualcuno lo inventerà di nuovo:
devi fuggire»
«E
come faccio?»
«Ci
ho già pensato io. Guarda», mi dice Mister Flinn girandosi verso
l'ingresso del locale, dal quale dopo tre secondi entra una ragazza
armata di una mazza da hockey. Simona!
«Tu
sei finiiiitooooo!» grida, prima di lanciarsi conto il marito per
prenderlo a mazzate. Si scatena una rissa, volano tavoli e sedie. Il
barista, fradicio del gin vomitato dal ragazzo fedifrago, cerca
inutilmente di placare gli animi gridando «Non voglio noie nel mio
locale!» In tutta risposta gli arriva una bottiglia di Prunella
Ballor in mezzo agli occhi.
Riesco
ad approfittare dell'enorme confusione e a darmela a gambe. Fuori
piove, cammino per qualche minuto lungo le vie del centro città. Il
folletto è di fianco a me con un minuscolo ombrello.
«Questa
volta mi hai aiutato, grazie Mister Flinn. Hai telefonato tu a
Simona, vero? E la canzone di Gigi D'Agostino, prima... sei un genio»
«Uhm
no, io non ho fatto proprio niente. Sapevo solo che sarebbe successo.
Ah, devo confessarti una cosa. Il blues non l'avrebbe inventato più
nessuno: se vincevi vincevi e basta. E poi potevo barare e dirtelo,
che la figurina pescata da Muddy Waters era David. L'avevo visto»
«E
perché non l'hai fatto?»
«E
perché avrei dovuto? A me il blues piace»
grande!... però voglio i diritti per la pillola vegana
RispondiEliminaHahahaha ok i diritti sono tuoi! :)
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