martedì 25 dicembre 2012

Il cenone

Due ore e quaranta minuti.
Cosa saranno mai due ore e quaranta minuti per raggiungere la casa di Gabriella e del marito Alfonso, figure a cui sono legato da un grado di parentela non facile da specificare, per il cenone di natale...
«Finalmente, ecco il nostro Renato!» esclama un ciccione sulla cinquantina, a me completamente ignoto. Vieni, che ti faccio appoggiare il cappotto» La casa, sebbene sia dispersa in mezzo a un territorio che ricorda le lande più desolate del “Signore degli Anelli”, è piuttosto accogliente. Per entrare bisogna superare una muta di randagi rabbiosi che attaccano chiunque si avvicini alla magione. Poi si attraversa un cortile realizzato nel classico stile dei vecchi cascinali lombardi e si entra in un grande salone, riscaldato da un camino. Per fortuna c’è il vecchio zio Lino che, a dispetto dell’età, si accorge per tempo -dal rombo dei motori- delle macchine in arrivo e corre in cortile a bloccare le tre gigantesche belve assetate di sangue, che rispondono al nome di Birillo, Berta e Beniamino.
«Vogliono solo giocare!», dice il ciccione chiudendo la porta, mentre fuori il vecchio zio Lino cerca di farsi rispettare dalle tre mostruose creature urlando parole incomprensibili: «Voran! Platz! Fuss!». E’ evidente che le bestie sono state allevate durante il reich e sono immortali.
Diversi ospiti devono ancora arrivare, in mezzo al salone c’è mia madre che sta parlando con una vecchia megera ingioiellata. Me ne ricordo in modo vago, da ragazzino l’ho già vista di sicuro. Meno rugosa di adesso, ma già allora impegnata a recitare il suo ruolo di vecchia zitella di buona famiglia, con i suoi formalismi e l'attenzione alle buone maniere. Sulla sua identità, buio completo. La megera mi osserva. Mia madre mi saluta. La megera finge stupore, dice «Ma è tuo figlio? Oh, signore Gesu, ma che bel giovanotto sei diventato! E che alto, mi raccomando non crescere più!».
No signora, ho trentadue anni, senza dubbio non cresco più.
«Te la ricordi la zia Paola, vero Renato?» interviene mia madre. Senza dubbio mia madre non ha fatto apposta ma il suo intervento è risolutore: ora so che questa cariatide risponde al nome di Paola. Non che me ne importi qualcosa, ma almeno evito figuracce. “Eh la zia Paola, come no».
«Fatti salutare bene», prosegue la vecchia, avvicinandosi e porgendo la guancia. Ma cazzo! Mi tocca pure baciare questa mummia, che sembra essersi rovesciata in testa una boccetta intera di profumo dolciastro e ributtante. Mentre mia madre inizia a raccontare la storia della mia vita mi allontano più in fretta che posso. «E’ stato in Inghilterra cinque anni» sta dicendo lei. Arrivato in cucina vedo zia Elsa impegnata nel dirigere i preparativi. Scandisce i tempi come un direttore d’orchestra, tre donne eseguono velocemente i suoi ordini. Il profumo del porro che soffrigge insieme a cipolle e carote domina vicino all’ingresso. Pochi passi più in là viene sovrastato dall’aroma di un brasato che da diverse ore sobbolle sul fornello. Mia cugina Maria si appresta a qualche operazione di sicuro interessante, con una bottiglia di Barolo. Probabilmente preparerà il sugo per la carne. In fondo alla cucina  trovo mio padre che al suo solito sta divorando un salame mentre trova giustificazioni improbabili per la sua stessa condotta vorace. «...no perchè quest’anno ha piovuto parecchio e l’alimentazione stessa dei suini ne ha risentito, le ghiande erano molto più acquose e le carni infatti, dagli insaccati alle parti di consumo più immediato, hanno una consistenza e un valore calorico completamente diverso». Il suo interlocutore avrà superato il secolo di vita, capisce l’Italiano ma non lo parla.
«L’è no bon?*», chiede, seduto su una sedia di legno, con il mento appoggiato al suo bastone da passeggio. «Certo che è buono, ma è leggero. Mangiare un salame di questi equivale a due fette di un salame normale»
«Aah!» annuisce il vecchio, che viene interrotto dallo zio Michele. “Nonno, lascia stare Fernando, non dargli fastidio e stai bravo lì seduto»
«Ma va a dà via il cü**!», impreca il vecchio, mentre il babbo lo giustifica dicendo «Michele figurati non mi dà nessun fastidio, ho solo pensato volesse assaggiare un po’ di salame, per questo ne stavo affettando uno»
Torno in sala appena in tempo per assistere a un’invasione di stampo barbarico, quattro bambinetti sui sei sette anni che spuntano correndo da una camera e distruggono qualsiasi cosa intralci il loro cammino, inseguiti senza successo da giovani madri fintamente disperate, tra cui la cugina Lidia e la cugina Francesca. Quest’ultima è orribile. Mi stupisce che abbia trovato un disgraziato che l’ha sposata. Insieme hanno concepito un pestifero mostriciattolo albino che mentre corre grida come un pazzo imitando la sirena di un’ambulanza.
«EEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEeeeeeeeeeeeeeeeEEEEEEEEEEEEEEEEeeeee»
«Kevin smettila immediatamente», grida la madre. Kevin. Cristo che nome, ma io dico, abiti a Vercelli, non a New York, per quale motivo devi chiamare un bambino Kevin?
Mia madre intanto sta parlando con la zia Vittoria.
«Ma che meraviglia!» commenta, osservando la collana indossata dalla zia.
«Angela, non dirlo a nessuno, ma è bigiotteria»
«Veramente? E’ incredibile, sembra vera... Renato, non saluti la zia Vittoria?»
Ecco, mi ha incastrato anche questa volta. «Ciao zia, auguri»
«Auguri, Renato caro, ma che bel ragazzo... ma senti glielo regali un nipotino a tua mamma? Guarda la mia Francesca che mi ha fatto Kevin, quel bambino è la mia gioia»
«Eh zia tu sì che hai tutte le fortune»
Mia madre si sente in dovere di insistere. «Ma davvero, e anche Lidia che ne ha due» Poi abbassa la voce e si guarda attorno con atteggiamento da carboneria «Certo Vittoria, diciamocelo, i due gemellini di Lidia sono proprio bruttini. Il vostro Kevin invece, tutt’altra pasta... si vede che è speciale. Vivace, allegro. Un amore!».
Finalmente fa il suo ingresso Gabriella, che probabilmente è rimasta chiusa in bagno a prepararsi per tre giorni, se si esclude una pausa dal parrucchiere nel pomeriggio. Mia madre sussurra a Vittoria «Guarda che mancanza di gusto, entra come una vamp dopo che gli ospiti sono arrivati, senza nemmeno averli ricevuti»
Vittoria dice «Ah, sì. E poi non mi dire che una della sua età sta bene vestita così. Ma hai visto la collana?»
«Sì un doppio giro di perle e murrine, bella eh, ma con tutte quelle rughe sul collo attira proprio l’attenzione nel posto sbagliato. E il vestito?»
«Terribile, un tubino anni settanta, tipico di una che vuol fare la giovane, e lei non se lo può certo permettere»
Dietro a Gabriella il marito Alfonso, trafelato, porta un vassoio con diverse bottiglie di spumante.
Lei gli indica il carrello dove posare il vassoio. «Bene», esordisce «Possiamo iniziare a brindare a questo Santo Natale. Alfonso, vai a chiamare tutti. Michele, versa lo spumante».
Dopo qualche istante siamo tutti riuniti nel salone per il primo brindisi, quando il ciccione che mi ha accolto in casa si porta al centro dell’attenzione. «Alt! no no no no no così non va bene. Manca ancora Gianluca. Non vorremo mica brindare senza Gianluca»
Il nonno di Michele, o almeno credo sia il nonno di Michele, il vecchio che mangiava il salame insomma, si è ormai affezionato a mio padre e gli sta attaccato. «Chi?», domanda.
«Il fratello di Giulio, nonno», risponde mio padre. A quanto pare lo chiamano tutti nonno. «Quello che tartaglia, e prima che morisse sua mamma non tartagliava, pover’uomo»
«Ah, cul tarlüc là? Ma c’al vaia a dà via i ciap***!» replica il nonno appena prima di sgolarsi l’intero bicchiere di spumante in un solo sorso. Qualcuno dice «Ma insomma, se si dice alle otto e mezza bisogna venire alle otto e mezza». Lidia si preoccupa «E se gli fosse successo qualcosa?». Elsa è pragmatica «Sì, si sarà addormentato davanti al televisore oggi pomeriggio».
Poi si apre la porta della casa, e finalmente compare Gianluca, sudato come un maiale. «S-s-s-scusate m m ma m m m m mi mi mi haanno inseguito ic ic i cani p p p p p poi è aa arrivato l-l-lozioLino» si giustifica, sputando in ogni direzione come un irrigatore da giardino. Tutti iniziano a brindare dilungandosi in auguri e inutili salamelecchi. Uno dei vari cugini per qualche ragione trova divertente augurare buone feste a tutti in spagnolo, e ad ogni persona fare una specie di inchino forse ad imitazione di un ballerino di tango o di flamenco. Per fare il giro di tutti i parenti ci impieghiamo un quarto d’ora e quando finalmente riesco a bere lo spumante è diventato caldo.
All’improvviso un urlo agghiacciante, proveniente dalla cucina, gela il sangue dei presenti. Corriamo tutti a vedere cos’è successo. Elsa è svenuta. Gabriella le porge un bicchiere d’acqua mentre si riprende, con Giulio che le sorregge la testa.
«Il brasato... è sparito», riesce a dire Elsa.
Gabriella, inginocchiata accanto a lei alza gli occhi verso gli invitati. «Guardate io non dico niente ma se è uno scherzo è davvero di pessimo gusto»
Zia Paola ipotizza innocentemente «Saranno stati i bambini».
Francesca si sente in dovere di difendere il figlio «Ma perchè dovrebbero essere stati i bambini! E’ comodo parlare dando la colpa a qualcuno, guarda Paola stai zitta perchè se dovessi parlare io ne avrei di cosa da dire, ma ne avrei per così, è ovvio che hai perso lucidità con l’età ma sto zitta che è meglio»
Mia madre sbotta. «Ah questo per te è stare zitta eh? Ma certo, si capisce da dove ha preso tuo figlio Kevin. Kevin, che nome poi...  è normale che Paola pensi ai bambini, visto che il tuo è un ragazzino viziato e diciamocelo, maleducato!»
«Ma sentila!» interviene Vittoria, «Dici così solo perchè io ho un nipote e tu no, tutta invidia la tua!»
«Ah di certo non ho niente da invidiare a una che viene alla cena di Natale con una collana di bigiotteria»
Tutti gli sguardi delle donne si posano sulla collana di Vittoria, mentre questa arrossisce violentemente. Gabriella scuote la testa schifata. «Davvero, che cattivo gusto. Si vede lontano un chilometro che non è vera.»
Vittoria si riprende dallo shock. «Ah parliamo di gusto? Proprio tu che vai in giro conciata come una ragazzina, cosa che anche Angela qui, che fa tanto la moralista, non ha perso tempo a far notare a tutti»

«Sei una vigliacca!»
«E tu sei una troia! O almeno la eri, adesso non ti vuole più nessuno, neanche tuo marito».
Decido di andarmene per conto mio, prima che Gabriella cacci tutti.
Fuori l’aria è fredda. Birillo mi si avvicina scodinzolando, mi fa un po’ di festa. Non sembra neanche più lo stesso cane di prima. In fondo, vicino a una piccola baracca degli attrezzi c’è seduto lo zio Lino, assieme agli altri due cani che stanno finendo di sbafarsi il brasato.
«Avevano proprio fame, povere bestie», dice. «Li ho visti agitati quando è arrivato il tartaglione, meno male che sono andato in cucina e ho visto che avevano preparato un po’ di carne per loro»
«Zio Lino, ma sei sicuro che fosse proprio per loro?»
«Ma sì, Alfonso la carne non la mangia e Gabriella è sempre a dieta. Qui se preparano della carne, le rare volte che lo fanno, è per i cani. Non vedo perchè stavolta non doveva essere così»
«Eh già. Perchè no? Ciao zio Lino, buon Natale»
«Ciao Renato, salutami i tuoi genitori, fagli gli auguri»
«Zio Lino, sono in casa i miei genitori»
«Ah già, sì sì, la mia memoria non è più quella di una volta...»



* Non è buono?
**Ma vai a dare via il culo
***Ah quel babbeo là? Ma che vada a dare via le chiappe

mercoledì 12 dicembre 2012

Scusate, andavo di fretta.





«La prima volta che vidi Elio Gardi capii subito che era uno scrittore, perché intorno a lui si respirava quest'aria da caffè letterario fiorentino di inizio novecento, e non eravamo a Firenze, potevamo essere a Parma, o a Brescia, non ricordo, doveva essere intorno alla metà degli anni novanta, quindi Parma, penso. Ti conquistava con la forma, più che con la sostanza di quello che diceva. Certamente poi c'è tutto quell'insieme di elementi che fanno il discorso, come l'intonazione e il volume della voce, la postura, insomma è chiaro quello di cui parlo.
Immaginatevi un uomo sgradevole nell'aspetto, dalla voce sgraziata e squillante. Bene, uno così può fare solo lo scrittore, per far sì che le sue parole conquistino la gente. Lui no: aveva un'impostazione quasi da attore. Poteva dire un sacco di cazzate e avere comunque il suo pubblico. Poi, intendiamoci, le diceva molto bene». Faccio una pausa. Mi verso dell'acqua, un paio di persone si alzano per uscire a fumare, qualcuno entra.
«Ci reincontrammo anni dopo, e questo sono sicuro di non sbagliarmi avveniva a Pavia, dove prendemmo l'abitudine di trovarci di tanto in tanto al bancone di un locale, a fare chiacchiere. Lui aveva queste strane teorie sui rapporti umani, tra uomini e donne in particolare. Un giorno ricordo che era entrata una ragazza, una certa Veronica, parecchio in ghingheri. Mi disse: “Guarda Veronica”. La osservai, era strano vederla così curata, visto che di solito vestiva in modo piuttosto sciatto. “Hai notato com'è elegante? Dev'essere stata lasciata dal ragazzo, sarei pronto a scommetterci cinquantamila lire. Ma non è questo il punto importante del discorso. Ciò che conta è quello che avverrà tra poco.”
Ora, va precisato che quello era un ambiente in cui almeno di vista ci si conosceva un po' tutti, come spesso accade. “Da quanto tempo non la vedi in giro?”, mi chiese.
Saranno quindici giorni”, risposi.
Infatti”, riprese “avrà attraversato la prima fase dopo la rottura di un rapporto, quel periodo di misandria in cui una donna pensa: basta io con gli uomini ho chiuso. Ora quella fase è evidentemente finita, ma questo è del tutto normale Claudio non fraintendermi non ci sto vedendo nulla di strano fin qui, soltanto desidero che tu mi segua nel discorso fino al punto cruciale ma ti ci voglio accompagnare seguendo un percorso preciso.» A quel punto era entrata nel locale una coppia che entrambi conoscevamo bene. Con lei, Maria Grazia, ero anche uscito per un breve periodo: molto graziosa ma di un'aridità sconcertante. Lui, Marco, alto e taciturno, sempre avvolto nei suoi lunghi cappotti scuri. Elio beveva un qualche liquore americano, non ricordo cosa fosse, ne ordinò uno per lui e un manhattan per me.
Bene, parlavamo di Veronica. La consideri una ragazza facile?”, mi chiese.
Non mi dà quell'impressione, no”.
Benissimo”, si illuminò “non la è, infatti!”.
Per qualche motivo, se la mia affermazione valeva come un parere, la sua era un assunto inconfutabile.
Allora, a parte il carciofo – il ragazzo che l'aveva presumibilmente appena lasciata, uno con uno strano porro vicino a un orecchio – con quali ragazzi te la ricordi?” mi chiese.
Beh, allora, Angelo, il Savona, Ferro, Marcello, poi? Ah sì anche mi pare con Ema, quello di Torino, anche se non era durata molto”, conclusi.
Perfetto, e che cos'hanno in comune tutte queste persone? Te lo dico io: li conosci tutti, anch'io li conosco tutti e tra di loro si conoscono tutti. In pratica si perpetua un orrendo rimescolamento di coppie, tale per cui bene o male le persone che conosci sono uscite quasi tutte insieme, a turno. Tu sei riuscito a frequentare anche quella decerebrata di Maria Grazia, per un po'!”
Sì, non me ne parlare.”
Ecco, adesso lei sta con Marco e si sono effettivamente trovati, intendiamoci non escludo che possa accadere anche questo: lui è silenzioso, quindi quando parla sembra che abbia qualcosa da dire, che sia un ragazzo riflessivo. Invece è un idiota, per lei è perfetto: l'altra metà della mela. Ma di solito le coppie si formano per esclusione. Veronica, per esempio, adesso farà delle valutazioni. Questo non mi piace, quello è brutto, quell'altro è noioso. Questo qui è impegnato, peccato perché non mi dispiaceva. La vedi, lì che parla con Annalisa, come ride e sembra divertirsi? Non si sta divertendo per un cazzo, questa è la verità. Sta solo mandando in giro segnali, sta dicendo ehi guardatemi sono una ragazza divertente e positiva (e anche figa). Figa lo dice con i vestiti perfetti e un taglio nuovo da centomila lire e tre ore minimo oggi dal parrucchiere. Peccato che gioca in un'arena piccola, dove sarà difficile trovare l'altra metà della mela. Troverà quello che passa il convento, cioè uno a caso tra quelli liberi e decenti, e si accontenterà, credendo di avere scelto lei. È nel posto sbagliato nel momento sbagliato, oltretutto”.
Gli domandai il perché.
Chi c'è in questo momento, qui, libero e attraente? Io. Sono il 'Veronico' di turno, anch'io mando segnali in giro mentre parlo con te”, mi disse.
Sono indiscutibilmente un bel ragazzo, sono single e non c'è ancora stato niente tra me e lei. Ora la raggiungerò e le dirò un paio di frasi che la faranno sentire donna. Cederà, vedrai. Solo, se un giorno viene a dirmi che si è innamorata, le spacco la faccia”.»
Mi alzo, aggiusto il microfono gracchiante dandogli una botta. «Bene, potete credermi, funzionò, e durò anche per qualche tempo. Poi Elio decise di partire per l'Africa e Veronica si mise con il barista di quello stesso locale, che si era appena lasciato con una delle cameriere. Ma sto divagando. Il libro di Elio che vi sto presentando si chiama Scusate ma andavo di fretta. L'ha terminato il giorno prima di suicidarsi, non aveva un titolo. Al posto dell'ultimo capitolo ha scritto questa frase.

Qui doveva esserci l'ultimo capitolo ma non c'è. Perché tutte le altre cose che dovevo fare da queste parti le avevo finite, e andavo di fretta.
Spero che voi lettori mi perdonerete.
Vostro,
Elio Gardi”»