giovedì 30 agosto 2012

I treni del Giappone - parte 2 di 2


 - I treni del Giappone - parte 2 di 2


Il Cobra aveva le chiavi dell'appartamento deserto. I due entrarono e fece luce alzando le veneziane che davano su un balcone e spalancò la porta finestra. Graziano non aveva ancora capito cosa stessero facendo in casa di uno che non c'era.
«Ma che devi fare?» domandò. Il Cobra armeggiava con la serratura di un cassettone, che a parte un letto sgangherato, due sedie e una bandiera dell'Argentina appesa a una parete sembrava essere l'unico arredamento della casa. A vederlo, separato dalla sua moto, non faceva certo impressione: era un piccoletto magro e stempiato dalla voce un po' paperesca. Disse «Ecco qua!» tirando fuori dal mobile due sacchetti, uno bianco e uno verde, più grande.
Graziano impallidì. «Mecojoni!», disse. «Quella è erba! E quell'altra...»
«Coca», proseguì la frase il Cobra. «Mo te spiego: ieri sera arriva a casa Agostino, l'amico mio, dice che ha svoltato un sacco di soldi, dice che parte subito e va a Berlino a prendere Annette, la sua fidanzata, e se la vuole sposare domani.»
«Embè?»
«Embè mi dice che però doveva finire un affare, mi lascia le chiavi di casa e dice che se porto sta roba a Sabaudia dal tizio che gliela deve comprà... mi posso tenere cinquemila euri. E che, je dicevo de no?»
Graziano lo fissò inebetito. Quando si trattava di fare cose contro la legge si cagava addosso dalla paura, perchè da ragazzino lo avevano beccato mentre rubava un cubo di Rubik all'Upim e gli avevano fatto prendere una strizza allucinante. Non avrebbe rubato un accendino, figuriamoci andare in giro con un sacchetto pieno di cocaina!
Il Cobra insistette «Eddaje Grazià! Fumiamoci una canna per festeggiare!», disse, e iniziò a pescare allegramente dal sacchetto verde.
Graziano iniziava ad alterarsi. «Ma festeggiare de chè? Io devo andare dai giapponesi porco due, non ci ho un cazzo da festeggiare, e manco la fumo quella roba lì! Tu stai fuori di testa, se ti fermano ti becchi vent'anni di galera puliti puliti. Anzi se ci fermano ce li becchiamo tutti e due visto che sulla moto con te, fino a Mostacciano, ci devo salire anch'io!»
«E chi ce ferma, Grazià!»
«Noi, per esempio», disse una voce proveniente da dietro le loro teste.
Erano entrati dalla porta aperta, in tre. Due giganti sulla trentina, identici, indossavano delle tute da meccanici senza magliette sotto. Puzzavano da fare schifo, Graziano immaginò che dovessero essere gemelli. Le loro braccia pelose avevano suppergiù la dimensione del suo torace. E poi c'era un tizio più anziano, che tentava di nascondere una chierica portando i lunghi capelli grigi legati in una coda. A giudicare dalle croste che aveva sulla pelle, non doveva amare l'acqua più dei suoi compari. Osservava Graziano e il Cobra, che nel frattempo erano stati sbattuti a sedere senza troppi complimenti, per studiarli.
«Allora», disse «questo piccoletto dev'essere il famoso Agostino Rostagno»
Il Cobra si mise a frignare in modo pietoso. «Aò ma vi sbagliate io non c'entro niente, non è casa mia! Mi chiamo Davide Rinaldi, detto il Cobra», piagnucolò.
«Sì, tu sei il Cobra e io sono Godzilla», sentenziò il tizio con la chierica, prima di assestargli un destro che gli fece partire due molari.
«Ahia!», guaì il cobra. «Ma è vero!»
«Fammi vedere un documento»
«Non ce l'ho»
«E figurati. Senti, Agostino, mi hai rotto il cazzo, tu e la tua commedia. Sei piccolo, magro, hai i capelli neri e dici un mucchio di stronzate, proprio come mi avevano detto. Il capo ci ha mandati qui per spaccarti la faccia a legnate e noi te la spacchiamo, così impari a restituirgli i soldi che ti presta, la prossima volta. Saverio, corcalo di botte», ordinò a uno dei due scimmioni.
Saverio chiese «E a quest'altro che sembra Pippo Franco che gli facciamo?»
Graziano non era molto contento di essere stato paragonato a Pippo Franco. Tutti con il suo naso ce l'avevano oggi? Comunque aveva altro di che preoccuparsi. Era bloccato in una casa piena di droga da tre specie di sicari che forse lo volevano ammazzare di botte, e non sarebbe mai arrivato in tempo dai giapponesi. Era fottuto.
L'altro gigante disse «Io spaccherei la faccia anche a lui, già che siamo qui».
Saverio intervenne «Io lo legherei con la bandiera della Lazio»
«E' una bandiera dell'Argentina, imbecille», disse l'uomo con la chierica. «Mario», continuò, rivolto all'altro energumeno «telefona al capo e chiedigli cosa dobbiamo fare»
«Perchè?»
«Perchè l'ultima volta che volevi fare di testa tua stavi per obbligare sua suocera a farti un pompino»
«E ma che ne sapevo io che la vecchia era...»
Fu a metà di quella frase che il Cobra, con uno scatto degno del serpente di cui portava il nome, si lanciò verso il balcone passando in mezzo ai due colossi, riuscì a uscire, saltò e calandosi lungo la canalina dell'acqua piovana scese i tre piani che lo separavano da terra. Saltò sulla moto e nel giro di tre secondi era sparito dietro l'orizzonte.
Mario rimase a fissare la finestra a bocca aperta. «Noo, ce l'ha messo nel culo! Il capo ci ammazza, stavolta» esclamò.
Il tizio con la chierica prese a bestemmiare e ad agitarsi come un pazzo. Tirava pugni sul muro, assestò un paio di calci ben piazzati a Graziano facendogli esplodere di dolore un ginocchio. Improvvisamente si calmò. Disse «ragazzi, mi è venuta in mente una cosa! Quello se ne sarà pure andato, ma qui ci ha lasciato tipo mezzo chilo di cocaina»
Saverio si illuminò «Ehi zio hai ragione, forse il capo si accontenterà».
Lo zio dei bestioni a questo punto aveva cambiato completamente umore, gongolava soddisfatto. «E poi possiamo sempre sfogarci su Pippo Franco», osservò. Poi si versò in mano dalla busta bianca un bel mucchietto di coca, e diede il resto a Mario. «Mario, porta questa e l'erba in macchina, poi ci facciamo una bella striscia tutti e tre e facciamo pentire al nasone di essere nato», concluse.
«Evviva! Usiamo lo specchio del bagno!» strillò Saverio.
I due si diressero in bagno e iniziarono ad armeggiare con lo specchio, nell'evidente tentativo di staccarlo dalla parete. Probabilmente volevano metterlo in orizzontale e stenderci sopra la cocaina, pensò Graziano mentre si accorse che Mario aveva lasciato la porta aperta. Era la sua occasione: Saverio e lo zio erano troppo indaffarati per accorgersi di lui. Graziano cercando di non far rumore strisciò fuori dall'appartamento e si mise a correre giù per le scale, soffocando a ogni passo un grido di dolore per il ginocchio che sembrava avesse un cacciavite conficcato nell'osso, da quanto gli faceva male. Quando uscì dal portone della palazzina vide Mario seduto al posto del guidatore di una Micra, con la portiera aperta. Il primate aveva acceso l'autoradio e stava cantando a squarciagola un pezzo di Rod Stewart. «I am saiiliiing I am sailiiing la la la la, la la laaaa»
Mario non lo vedeva, perchè la macchina era posteggiata di traverso rispetto al marciapiede, qualche metro più avanti. Se avesse guardato nello specchietto retrovisore, però... inoltre era questione di attimi prima che gli altri due in casa notassero la sua assenza. Graziano valutò la situazione. Scappare di corsa con il ginocchio in quello stato era impossibile. E poi doveva raggiungere i giapponesi. Però sua sorella aveva una Micra, e lui sapeva che l'autoradio funzionava solo con le chiavi nel quadrante.
E se questo fosse completamente coglione?
Aveva solo una possibilità per scoprirlo. Graziano si avvicinò alla portiera del passeggero e bussò al finestrino.
Mario si voltò e smise di cantare.
Rod Stewart continuò a cantare.
Lo zio si affacciò al balcone.
Graziano fece il dito medio a Mario.
Mario disse «Adesso io ti ammazzo», scese dalla macchina e iniziò a girarle intorno per raggiungere Graziano.
Lo zio gridò «Fermati testa di cazzo!»
Mario, giunto dal lato del passeggero, si fermò, guardando in alto verso lo zio con aria interrogativa. «Chi, io o lui?», chiese.
Graziano, giunto dal lato del guidatore, saltò sulla Micra, l'accese, e partì.
Rod Stewart continò a cantare.
I am sailing stormy waters
to be near you, to be free.
«Cazzo cazzo non ci posso credere, ce l'ho fatta!» gridò Graziano, lanciato a centosettanta all'ora sul raccordo. Aveva ancora un quarto d'ora per raggiungere l'ufficio, prima che arrivassero i giapponesi. Con un po' di fortuna avrebbe fatto in tempo anche a bere un caffè.
Fu proprio in quel momento che si accesero i lampeggianti blu della macchina della polizia dietro di lui. Vedendo nello specchietto retrovisore la paletta che gli intimava di accostare, Graziano si rese conto, troppo tardi, dei sacchetti, uno bianco e uno verde, che facevano bella mostra di sé sul sedile posteriore della sua Micra. Rubata.

Epilogo (tradotto dal giapponese)

«Quell'imbecille non si è presentato e non ha neanche avvertito»
«Probabilmente si è suicidato per il disonore»
«Sì, però ci ha fatto fare un viaggio a vuoto fino a Roma»
«Ma no, dai, almeno visitiamo la città»
«Già. Ehi guarda, un chiosco di grattachecche»
«Bello! Foto?»

mercoledì 29 agosto 2012

I treni del Giappone

dalla prima uscita poi arrivà ar vaticano
cè 'n giapponese che s'è perso er torpedone
se je chiedi s'ha bisogno d'aiuto
te fa 'na foto
te serve aiuto? a giapponè
te fa 'na foto
pure 'a polizia je sta a parlà
te serve aiuto?
je fa la foto

Corrado Guzzanti - Tuttaroma

I treni del Giappone -- 

Driiin! Driiin! Driiin!

«Ma chi cazz...»
Driiin!
«A Grazià, e rispondi!»
Driiin!
«E non lo trovo!»
«Oddio ma che ore sono? Saranno le cinque?»
Driiin!
«E allora! Accendi sta luce Grazià, te voi move? Ma chi po' esse a quest'ora de notte? E' morta la zia Rosina, ce lo sapevo»
Dri... «Pronto? Sì. Certo.»
Simona guardò Graziano con aria interrogativa. Poi vide l'orologio appeso alla partete e capì. Le sette e dieci.
«Non preoccuparti, arrivo», concluse Graziano al telefono. Simona notò l'espressione sul volto del marito. La zia Rosina per il momento era salva, si trattava di una telefonata di lavoro.
«A Grazià, ma che è?»
«I giapponesi, mortacci loro. La delegazione da Osaka. Tra un'ora e mezza sono in sede»
«Che sfiga, amò. Ma ce la fai?»
«Ce la faccio Simò»
«Ma sti giapponesi non dovevano arrivare domani?»
«Hanno rinunciato alla gita a Venezia» spiegò Graziano, infilandosi camicia e pantaloni in tutta fretta.
«Cò 'sta crisi» commentò Simona.
Graziano De Luca uscì di casa agitato, si augurava che quella giornata lavorativa finisse presto e senza intoppi: i giapponesi dovevano firmare un contratto importante con la sua azienda, e per la prima volta il compito di gestire una faccenda così delicata era stato affidato a lui. Non poteva sbagliare niente, chi li conosceva i giapponesi? Magari uno si metteva la cravatta del colore sbagliato, questi sbroccavano e andava tutto a puttane. E doveva essere puntuale. Sua sorella aveva letto sul Messaggero che in Giappone, se i treni facevano un minuto di ritardo, ridavano a tutti il prezzo del biglietto e il macchinista la metà delle volte si suicidava per il disonore, figuriamoci se lui li avesse fatti aspettare!
Passò davanti a un paio di negozi salutando i bottegai. Il suo quartiere, il Tufello, nella parte nord di Roma, a quell'ora fremeva di attività. In via delle isole Curzolane c'era una piccola folla radunata intorno a una decina di macchine parcheggiate proprio dove lui aveva lasciato la sua fiat Regata la sera prima. Un signore sulla sessantina grasso come un vitello sbraitava in preda a un attacco d'ira. «Sti fii de 'na mignotta, 'tacci loro! Io l'ammazzo, giuro che l'ammazzo a tutti, maledetti».
Urlava e saltava intorno a una Golf tirando pugni e calci sulla carrozzeria. Altre persone parlavano al telefono, lamentandosi e dando spiegazioni. Una donna parlava con il barbiere affacciato alla porta della bottega, diceva «Le guardie quando non servono sono sempre in giro a fare le multe, e stanotte dov'erano? Lo sa che li hanno chiamati tre volte? Tre volte, e nessuno si è degnato di venire». Spargeva la notizia come una verità assoluta. Il barbiere le chiese «Chi li ha chiamati tre volte?».
La donna rispose «Non so, lo diceva un signore. A mio figlio però danno sempre la multa per divieto di sosta»
Graziano avvicinandosi vide un volto amico. «Davide, ma che è successo?», domandò.
«A Grazià, 'npoi capì! Pare che stanotte 'na banda de pischelli mbriachi come mozzi se so divertiti a tajà le gomme alle macchine».
Questa non era una bella notizia. No, proprio no.
Due minuti dopo Graziano, accasciato sul marciapiede, osservava con rassegnazione i tagli di venti centimetri ai pneumatici della sua Regata, pensando al modo migliore per farla finita. Tanto lo avrebbero licenziato, il mutuo sul trilocale gli si sarebbe appeso al collo come un blocco di granito e lo avrebbe fatto affondare. Quindi era meglio giocare d'anticipo e ammazzarsi. Prima però avrebbe avvertito sua moglie.
«Pronto, ma chi è? Stamattina tutti qua state a chiamà?»
«Amò, addio»
«Graziano? Che stai dicendo?»
Graziano dopo un'iniziale titubanza aveva deciso. Come prima scelta aveva pensato di andare al bioparco e immolarsi in una lotta con il leone asiatico, come gli antichi gladiatori nelle venationes. Però aveva il dubbio che il leone fosse chiuso in una gabbia, quindi optò per il piano B. Si sarebbe lanciato nel Tevere dal ponte di Testaccio, un metodo non infallibile ma di sicuro spettacolare. Simona, disperata, cercava di convincerlo a desistere.
«Ma che ti importa del lavoro e dei giapponesi amò, se ti licenziano 'sticazzi, l'importante è stare insieme. A me nun ce pensi ? E poi ce sta mi zio che lavora all'Atac, è pure un mezzo capoccione, un posto te lo trova»
Ma Graziano aveva deciso. A meno che... L'idea era rischiosa ma era l'unica che poteva funzionare. Forse. Ma bisognava tentare.
«D'accordo Simò, non mi ammazzo. Chiamo il Cobra»
Simona, che in cuor suo sapeva che il marito avrebbe alla fine rinunciato al suicidio, ebbe un tuffo al cuore. «No, er Cobbra no!», implorò.
«Sì, il Cobra sì».
Il rombo della sua moto era un ruggito di piena rabbia e potenza. Quando il Cobra faceva salire di giri il motore sembrava che si dovesse squarciare il cielo. Al confronto gli aerei supersonici facevano delle scoreggette. Quando lo si sentiva passare per le vie della città le mogli smadonnavano e si tappavano le orecchie, i mariti sospiravano ricordando i momenti di libertà della gioventù e i bimbi correvano fuori per vederlo passare, ma nessuno ci riusciva mai. Lui era troppo veloce.
Ciccio Er Secco raccontava che nel duemilanove il Cobra avesse fatto il giro del raccordo anulare in tredici minuti e nove secondi. «Aò regà, era pure sull'anello esterno, che di poco ma è pure più lungo eh? No, nun sto a scherzà»
Graziano compose il numero del Cobra colmo di speranza. Se avesse avuto un impegno? Era un'ipotesi improbabile visto che quello, a parte andare in moto, non faceva un cazzo dalla mattina alla sera, ma poteva capitare. E se avesse dimenticato il telefono da qualche parte? Questo era già più plausibile. Invece al quarto squillo rispose. «Aò, bella Grazià! Sì. No. Ah. Guarda ero sveglio perchè alle undici ho il corso di massaggio Kalari con i piedi, a Vitinia, stavo provando le tecniche su mia nonna. No no tranquillo. Ma che davvero? Pezzi demmerda, le gomme no! Senti facciamo così, tra dieci minuti sono lì. Dobbiamo solo passare un attimo da un amico mio mentre ti porto, una cosa veloce ma tanto siamo di strada. Sì. No. Cinque minuti cinque, ma che non ti fidi? Aspè...sì, nonna è Graziano, quello col nasone. Scusa Grazià, dicevamo, niente, arrivo».
Nasone? Ma vaffanculo sarà bello lui, pensò Graziano. Mentre esultava per avere trovato la soluzione ai suoi problemi trotterellò verso la vetrina di un arredo bagno e provò allo specchio una serie di profili e di espressioni. Eppure a lui il suo naso sembrava normalissimo.
Quindi si accorse che tutti gli uccelli della zona si stavano alzando in volo contemporaneamente, e una muta di cani gli sfrecciò accanto in preda al panico. La vetrina dell'arredobagno iniziò a tremare e sembrava stesse per esplodere, il rumore era quello di mille tuoni, un prete di passaggio gridò «Lo tsunami! Perdonaci, o Signore!».
Non era lo tsunami, era il Cobra che per l'occasione indossava una giacca a vento con scritto “taleggio della valsassina” sulla schiena. «E' la cosa più aerodinamica che io conosca», disse. Poi aiutò Graziano a salire sulla moto, aspettò che questi avesse sistemato il casco e insieme partirono sotto lo sguardo allibito del prete che nel frattempo si era arrampicato sul tetto di un'edicola.



E qui finisce la prima parte di questo racconto. Noo, bastardo, ci lasci a metà lettura, bruttofiodenam... In effetti il racconto l'ho scritto tutto, manca qualche correzione qua e là, questione di poco tempo. Così almeno posso spammare link al blog due volte invece di una! Però se avete voglia di leggere qualcosa di bello, andate qui: claspita.wordpress.com Decisamente consigliato, la ragazza scrive molto bene. (era già nei link lì a destra, ma per una volta insisto perchè i link lì a destra non se li caga nessuno)
A presto con la seconda parte del racconto. Ciao.